"Nessuno di noi ha un destino segnato" Tra applausi e flash, conferito al nostro Presidente il titolo di dottore magistrale in ingegneria Meccatronica

Magnifico Rettore, Autorità, signori professori, cari studenti, amiche e amici, caro Fabrizio e caro Aimone, buongiorno a tutti. Ricevere questa laurea è un grande onore e ringrazio il Rettore, professor Angelo Oreste Andrisano, il Dipartimento di Scienze e Metodi dell'Ingegneria e tutto il Senato Accademico per questo conferimento. Ringrazio i professori Cesare Fantuzzi e Riccardo Rubini per le belle parole e per la presentazione che hanno voluto farmi. Ringrazio i professori Eugenio Dragoni, Luigi Grasselli e Bianca Rimini per avere proposto al Dipartimento la mia candidatura per questo prestigioso riconoscimento. Un saluto particolare lo rivolgo a Edda, mia moglie, e ai miei figli Claudio, Elena, Paolo e Simone. Il mio nome è Fabio Storchi e appartengo a una famiglia reggiana, di Campagnola, che per secoli ha lavorato la terra. Da ragazzo uno dei miei compiti era portare ogni giorno al caseificio del paese, con un carrettino attaccato alla bicicletta, alcuni bidoni di alluminio contenenti il latte prodotto dalle nostre mucche. Quei bidoni sono oggi la metafora della più grande lezione appresa nella mia vita: nessuno di noi ha un destino segnato e ciascuno di noi è sempre l’artefice della propria esistenza. Cinquant’anni fa il mio futuro sembrava ben delineato dalla storia e dalle tradizioni della mia famiglia. Il mio destino naturale era la terra… ma la vita, la mia vita, è andata in un’altra direzione. Sono diventato un imprenditore metalmeccanico che costruisce componenti vitali per le migliori macchine agricole e industriali prodotte nel mondo. Ora che vi ho resi partecipi di questo “piccolo segreto” voglio condividere con voi una prima riflessione. Noi viviamo in un Paese nel quale non sempre alle dichiarazioni seguono i fatti. Quando si parla di Ricerca, Sviluppo e Innovazione si richiama sempre la centralità dell’università e la collaborazione stretta con il mondo delle imprese. Quando dalle parole si passa ai fatti ci accorgiamo che la realtà è diversa: troppo spesso università e imprese faticano a dialogare tra loro. Questo non è il caso dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Qui, la relazione tra il mondo accademico e l’universo manifatturiero ha una storia consolidata. Unimore, infatti, oggi è una realtà in crescita collocata al centro di quel Nuovo Triangolo Industriale Italiano tratteggiato da Dario Di Vico nelle pagine del Corriere della Sera, che comprende la Lombardia, il Veneto e l’Emilia Romagna. Modena e Reggio Emilia sono il cuore di questo “poligono” economico e sociale all’interno del quale emerge la nuova soggettività mediopadana. Una identità, quest’ultima, che, al contrario di Milano o Bologna, non è esplicita, non esiste nell'immaginario collettivo, non ha un nome e non è ancora percepita come tale persino dalla gran parte dei suoi cittadini. Eppure, come ciascuno di noi sa, l’area mediopadana è una “cosa” reale, costituita dai territori di Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Modena, Mantova e Cremona. Una realtà con milioni di persone capaci di produrre il 5,5% del valore aggiunto nazionale e di esportare 47 miliardi di euro, pari al 10% dell’intero export italiano. Oggi, dunque, siamo riuniti in un Ateneo posto al centro di una delle più avanzate aree manifatturiere d’Europa. Un luogo dove il Dipartimento di Scienze e Metodi dell'Ingegneria si occupa di insegnamento, di ricerche teoriche e applicate, di formazione e trasferimento tecnologico in vari ambiti dell’ingegneria. Nel richiamare tutto ciò, non vi nascondo che provo un intimo elemento di gratificazione. Mi emoziona, infatti, ricordare che all’inizio degli anni Novanta mi sono impegnato – personalmente – per contribuire all’apertura della sede reggiana di questo nostro Ateneo. Ma non si tratta solo di memoria; l’emozione che oggi provo è legata al titolo che mi conferite. In primo luogo perché rappresenta il riconoscimento a cinquant’anni di attività imprenditoriale. Una “Impresa” condivisa con migliaia di collaboratori che oggi ringrazio, nel corso della quale sono riuscito a trasformare i miei sogni in due realtà industriali: Comer Industries e Vimi Fasteners. Ho fatto riferimento ai sogni pensando a Walt Disney e al suo indimenticabile pensiero che ho fatto mio: “Se riesci a sognarlo, un giorno riuscirai anche a realizzarlo”. A questo proposito voglio farvi una confidenza: nella mia vita ho sognato molto e continuo a farlo, così come l’amico d’infanzia, Gianni Torelli, tra i più importanti e noti meccanici italiani, restauratori di auto d’epoca. Anche a lui va un saluto affettuoso. La Cisitalia 360 Grand Prix degli anni ’40, che avete visto esposta all’ingresso, gli è stata affidata nel 2013 da un magnate tedesco per un restauro ritenuto impossibile. Ebbene, questa storia ci racconta meglio di tanti discorsi la tempra della gente della nostra Motor Valley. Una terra unica al mondo dove, secondo Enzo Ferrari: “I sogni possono essere contagiosi”. Ed è proprio così: dopo sei anni di lavoro l’impossibile restauro è ormai vicino al traguardo. Nei prossimi mesi la Cisitalia-Porsche sarà ultimata e riconsegnata in Germania al committente. Un altro sogno sta quindi per realizzarsi. Il secondo motivo della mia emozione è che questa Laurea premia una vita di lavoro nel corso della quale ho lavorato a stretto contatto con centinaia di ingegneri e tecnici di tutto il mondo, che da oggi posso chiamare “Colleghi”. In questi anni, insieme a loro, ho creduto e investito nella Meccatronica di cui oggi parleremo. Un impegno al quale intendo attenermi, senza tuttavia proporvi una lezione formale. Mi ripropongo, infatti, di condividere con voi una storia nella quale l’agire imprenditoriale e la tecnica si sono intrecciate per dar vita ad una vicenda veramente interessante. Esco dalle convenzioni nel ricordo di mio padre Pietro, che spesso mi diceva: “Fai ciò che ti senti di fare, fallo fino in fondo, fallo bene e vedrai che non sbaglierai”. Ancora una volta seguo il suo consiglio e per iniziare a parlarvi di innovazione e di meccatronica parto da lontano, da un pensiero di Marcel Proust: “Il viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”. Oggi, in questa Aula Magna, vi invito ad avere “nuovi occhi” per vedere quello che ancora non c’è. Non sono io che esorto ciascuno di noi a farlo, ma è la Quarta Rivoluzione Industriale che stiamo già vivendo. Il mondo, infatti, vive una grande trasformazione che non conosce sosta. Dalla lavorazione della pietra al controllo del fuoco; dalla pastorizia all’aratro; dall’arte di lavorare i metalli all’arte della guerra; dall’invenzione della ruota alla capacità di sollevare pesi e di attraversare i mari. La tecnica è un lungo cammino che coincide con il percorso culturale, economico e sociale dell’Homo Sapiens. La storia della tecnologia è un susseguirsi d’invenzioni e di applicazioni che determinano cambiamenti epocali. Un tema di grande attualità in un momento nel quale l’umanità si accinge ad affrontare la nuova rivoluzione delle macchine. Andrew McAfee ed Erik Brynjolfsson, docenti al Massachusetts Institute of Technology di Boston, sono convinti che: “I computer e gli strumenti digitali iniziano a fare al lavoro della mente quello che il motore a vapore e i suoi discendenti hanno fatto al lavoro delle braccia”. Tuttavia, non dobbiamo temere questo cambiamento. Per le persone, per le comunità, per le organizzazioni e per gli Stati ogni cambiamento rappresenta sempre una sfida importante. Per affrontarla occorre avere non solo coraggio, ma anche umiltà. È indispensabile governare e non subire gli eventi. È indispensabile, infine, imparare a imparare. La conoscenza, l’accumularsi di esperienze, e non solo le nozioni, sono e saranno sempre l’energia che alimenta la passione dell’agire quotidiano. Questa è la strada sulla quale si evolve tanto la tecnologia, quanto il progresso economico e sociale. Se guardo al mio passato, mi rendo conto di aver avuto la fortuna di attraversare cinque formidabili decenni di lavoro e di vita. Un bilancio positivo, segnato dal dolore di aver perso tragicamente mio fratello Oscar, pochi anni dopo l’avvio della nostra attività. Divento imprenditore a 24 anni, partendo da un piccolo capannone che, credetemi, non aveva niente da invidiare a un “garage”. Compagni d’avventura, i miei fratelli Oscar e Fabrizio e mio cugino Aimone, con i quali voglio condividere il riconoscimento di oggi. I nostri cespiti erano un tornio, un trapano a colonna, una fresatrice, i nostri vent’anni e un sogno: costruire invertitori meccanici per l’edilizia e riduttori-moltiplicatori per le macchine agricole. Sono nato in campagna e ho sempre saputo che i calabroni volano, anche se gli scienziati non riescono a spiegarsi come ciò sia possibile. Allo stesso modo a Campagnola, il mio paese natale, ha spiccato il volo, nella seconda metà degli anni 60, la nostra OMA, Officina Meccanica Applicazioni. Eravamo quattro soci e alcuni, pochi, collaboratori. Arrivarono le prime commesse, i primi successi e di lì a poco, nel 1970, OMA diventò COMER, Costruzioni Meccaniche Riduttori, che una crescita costante ha trasformato successivamente nella multinazionale tascabile di Reggiolo, oggi nota in tutto il mondo come Comer Industries. Ogni anno le sue barre falcianti e le sue trasmissioni per mietitrebbiatrici processano una quantità di grano sufficiente a sfamare l’Europa. Comer Industries è leader nella progettazione e produzione di sistemi avanzati di ingegneria per la trasmissione di potenza. Il suo mercato di riferimento è costituito dai principali costruttori mondiali di macchine per l’agricoltura, l’industria e la produzione di energia rinnovabile. Alla fine del 2018 ha prodotto un fatturato consolidato di 379 milioni di euro, realizzato con 1.480 Collaboratori attivi in 6 stabilimenti produttivi e in cinque filiali commerciali, distribuiti in Europa, Stati Uniti, Sud America e Asia. Nel maggio dello scorso anno, coerentemente con quanto previsto nel Patto di Famiglia predisposto negli anni '90, io e Fabrizio abbiamo lasciato la guida di Comer Industries ai figli e nipoti Matteo, Cristian e Marco, che saluto con affetto. Lasciata la guida operativa di Comer Industries, di cui restiamo azionisti, abbiamo affrontato una nuova sfida che ha come obiettivo la creazione di un'altra multinazionale tascabile: Vimi Fasteners. Anche in questo caso si tratta di una storia avvincente: nel 2000 i legami di lavoro e famigliari che hanno segnato la mia vita di imprenditore trovano un ulteriore motivo di conferma. Insieme a mio cugino Aimone e a mio fratello Fabrizio decidiamo di investire sul futuro di Vimi Fasteners, acquisendone il pieno controllo. La dimensione familiare, quando è meritocratica e generosa, rappresenta il miglior assetto proprietario per un’impresa, indipendentemente dalle dimensioni. In questo senso tra Vimi Fasteners, Brembo o Général Motors non ci sono differenze: sono tutte imprese familiari di successo, capaci di durare nel tempo. Vimi Fasteners è leader nella progettazione e produzione di organi meccanici di fissaggio per i settori automotive, industriale, oil&gas e aerospaziale. I suoi clienti vanno da Ferrari a Maserati, da John Deere a CNHI, da General Eletric a Leonardo. Il 2 agosto 2018 Vimi Fasteners ha esordito come matricola all’AIM, il Mercato Alternativo dei Capitali di Borsa Italiana. Si è aperto così un percorso di crescita, anche per linee esterne, che perseguiremo con determinazione per fare della società uno tra i principali player del settore. Nel 2018 Vimi Fasteners ha fatturato oltre 50 milioni di euro, realizzati con 260 Collaboratori. Questi cinquanta anni di impresa sono stati davvero una grande “avventura”. Al crescere delle dimensioni e della complessità anche l’imprenditore deve “crescere”. Le competenze individuali del ragioniere non bastano più; occorre maggior sapere manageriale e, soprattutto, saper apprendere e migliorare continuamente. Per far tutto ciò occorre la resilienza del maratoneta. Le pietre miliari di questa mia corsa sono state molte: dall'introduzione della gestione manageriale nei primi anni '90 alle innovazioni di processo; dall’attenzione pionieristica per la meccatronica all'adozione delle più avanzate formule organizzative, come l’EFQM, il Lean Thinking e il Six Sigma; dal Co-Engineering alla certificazione dei bilanci, dalla Sostenibilità alla Responsabilità Sociale d’Impresa. La mia cultura gestionale nasce con la scoperta della “Qualità” intesa non come attributo generico, ma come disciplina fondata sulla padronanza dei processi industriali e sull’assicurazione della conformità del prodotto ai requisiti tecnici richiesti. Il 1985 ha rappresentato per me l’anno di svolta, con l’adozione del “Miglioramento Continuo”. Trentaquattro anni fa ho cominciato a considerare l’azienda come un “tutto”, un “insieme” superiore alla semplice somma delle sue parti. In altri termini, ho preso consapevolezza che la complessità non può essere affrontata con singoli interventi, bensì ricorrendo a interventi graduali, programmati e di sistema. I consulenti lo chiamano approccio olistico. Significa mettere in campo le risorse, le energie, la costanza e la determinazione per perseguire, nel tempo e in modo adattativo, un processo di miglioramento aziendale destinato a non concludersi mai. Nell’impresa, come nella biologia, nell’economia e nelle dinamiche sociali, chi si ferma è destinato prima o poi a soccombere. Un principio che Charles Darwin ha sintetizzato in modo molto efficace: “Non è la specie più forte che sopravvive né la più intelligente, ma quella più ricettiva ai cambiamenti”. Nel nostro Paese sono migliaia le imprese capofila di distretti e filiere che hanno avuto la capacità di adattarsi, contribuendo a radicare e a diffondere modelli d’eccellenza. Ma siamo solo all’inizio: man mano che le tecnologie si svilupperanno e saranno introdotte nuove idee, si creeranno nuove imprese e nuovi prodotti. Le persone, o almeno una parte considerevole di esse, saranno sempre più qualificate e affrancate da lavori esecutivi a basso valore aggiunto o ripetitivi. Le attrezzature e i macchinari diventeranno sempre più facili da utilizzare e sempre più interattivi con l'Uomo. L’Uomo sarà, ancora una volta, beneficiario e al centro di questo nuovo paradigma tecnologico. Abbiamo la certezza che tutto ciò determinerà uno straordinario balzo in avanti della produttività. Un processo evolutivo – non facile, né indolore – che, se praticato con successo, permetterà di ridare slancio alle imprese, di renderle più competitive e, dunque, di offrire nuove speranze e opportunità di crescita alle nostre comunità e al nostro Paese. Nel mondo in forte e accelerata trasformazione in cui viviamo, sono ormai ben evidenti due fattori tra loro complementari. Da un lato il ruolo centrale dell’innovazione, declinata a livello di imprese e di filiere produttive; dall’altro, il ruolo fondamentale e complementare esercitato dalla città e dal sistema territoriale nel quale l’azienda opera. Una consapevolezza che mi ha guidato nella lunga militanza confindustriale, dedicata in modo significativo tanto alle relazioni con le Imprese, quanto ai rapporti con le Istituzioni, con l’Università, con la Scuola e con le Organizzazioni sindacali. Negli anni ’80, infatti, ho contribuito alla creazione del CIS, Centro Interaziendale Servizi, ora scuola per la gestione d’Impresa degli industriali reggiani. Negli anni ‘90 – come ho già ricordato – ho preso parte alla costituzione dell’Università di Modena e Reggio Emilia, Unimore, che oggi conta oltre 25.000 iscritti di cui quasi diecimila nel solo capoluogo reggiano. Nel 2000 sono stato chiamato alla guida di IFOA, uno dei maggiori centri di formazione italiani controllato dal sistema camerale dell’Emilia-Romagna, di cui ho promosso il riposizionamento strategico. Nel 2003 ho contribuito, con il compianto prof. Olmes Bisi, che oggi desidero ricordare, alla progettazione e all’avvio del corso di Laurea in Ingegneria Meccatronica, presso la sede reggiana di Unimore. Nel 2004, nel corso del mio primo mandato di presidenza degli Industriali reggiani, ho promosso la costituzione del Club Meccatronica, dedicato ai tecnici e agli imprenditori delle aziende che si riconoscevano in questo settore, allora emergente. Dal 2012 al 2016 sono stato presidente della Commissione Scuola e Formazione nonché membro del Board Education di Confindustria. Nello stesso periodo ho promosso, come presidente di Federmeccanica, due iniziative rivolte alla scuola. La prima, Eureka! Funziona!, è il progetto nazionale di educazione tecnica-gestionale e di sensibilizzazione imprenditoriale rivolta ai bambini delle scuole elementari. La seconda, Traineeship, è il progetto promosso da Federmeccanica e MIUR che ha permesso di avviare il primo vero programma di alternanza scuola-lavoro realizzato in Italia. Un’attività, quest’ultima, assunta come benchmark di riferimento per le politiche dell’alternanza scuola-lavoro adottate dal Governo Renzi con la Legge 107 sulla Buona Scuola. Nel novembre 2016 ho sottoscritto con i tre Sindacati nazionali di categoria il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro dei Metalmeccanici. Un accordo che ha introdotto un vero “rinnovamento” sia nelle prassi negoziali, sia nei contenuti contrattuali, tra i quali va ricordato il diritto soggettivo dei lavoratori alla formazione. Un'intesa definita “Patto del cappelletto”, perché tra i sottoscrittori c’era, tra gli altri, il reggiano Maurizio Landini, allora segretario della FIOM. Con quell’accordo, il rapporto tra imprese e lavoratori è passato dalla logica del conflitto a quella della collaborazione e della partecipazione di tutti alla vita aziendale. In questi ultimi mesi, infine, mi sono impegnato, come presidente di Unindustria Reggio Emilia, per istituire, presso la sede reggiana di Unimore, il corso triennale di laurea in Digital Marketing. Un’iniziativa, già approvata dal MIUR, che prenderà l’avvio il prossimo autunno e che rappresenta la prima realizzazione di un auspicato polo universitario di eccellenza dedicato all’alta formazione digitale. Una realtà che potrebbe assumere una valenza strategica per Reggio Emilia. Fino a ieri, infatti, le basi di conoscenza di molte aziende coincidevano con le competenze meccaniche. Oggi l’evoluzione continua delle tecnologie ha fatto della meccatronica la nuova base di conoscenza. La meccatronica – voglio ricordarlo – è la scienza nata dall’integrazione tra la meccanica, l’elettronica e l’informatica per progettare, sviluppare e controllare sistemi e processi a elevato grado di automazione e di integrazione. Un esempio di questa rapida evoluzione è fornito dai trattori – prodotto storico del distretto reggiano – che, dopo esser diventati meccatronici, sono oggi concepiti e realizzati come vere e proprie “piattaforme” di automazione proiettate alla guida autonoma. Trasformazione digitale e meccatronica portano con sé il più grande cambiamento dai tempi della prima rivoluzione industriale. È indispensabile misurarsi ogni giorno di più con questo nuovo paradigma, tenendo ben presente un grande elemento di novità. Oggi, le innovazioni possono crescere e diffondersi solo se affiancate da “innovazioni territoriali” che coinvolgono non solo le imprese, ma anche le università, le scuole, la Pubblica Amministrazione, le banche, i lavoratori e i cittadini. È questa la ragione per la quale in questi anni ho fatto mio lo slogan “Fare Insieme”. Mi anima una precisa consapevolezza: la condivisione comporta non solo vincoli, ma anche la liberazione di energie morali, intellettuali ed economiche. La complessità che siamo chiamati ad affrontare nei mercati, nella società, nel lavoro e nella vita, ci sollecita ogni giorno a ricercare nuove collaborazioni. Nella mitologia greca Marte, dio della Guerra, e Venere, dea della bellezza, sono due opposti, dalla cui unione nasce Armonia. Ricordiamoci dunque che l’armonia si crea con l’apporto di parti diverse, consapevoli di concorrere a un fine comune. Le figure mitologiche che ho richiamato fanno parte dell’immenso lascito costituito da tre millenni di civilizzazione greca, romana e cristiana, di cui la nostra cultura e questo Ateneo sono eredi legittimi. Nei giorni scorsi, mentre lavoravo alla preparazione di questa “lezione”, il mio pensiero è andato a voi studenti che siete nel pieno della giovinezza, così come Joseph Conrad la definisce nella prima pagina del suo grande romanzo intitolato “La linea d’ombra”. Lo scrittore anglo-polacco scriveva: “Ciascuno va avanti. E anche il tempo va avanti, finché ognuno percepisce di fronte a sé una linea d’ombra ad avvertire che la giovinezza deve essere lasciata indietro”. La linea d’ombra di Conrad è la metafora della paura di non farcela, di non sentirsi all’altezza del compito che la vita ci impone. È quella paura di sbagliare che talvolta paralizza. Ad ognuno di noi può capitare di attraversare questo difficile momento e tuttavia dobbiamo ricordarci che non siamo soli. Mai come oggi, infatti, la linea d’ombra si presenta non solo davanti ai giovani, ma all’intera società e, naturalmente, anche agli imprenditori come me. In un mondo in transizione dove scenari e obiettivi cambiano rapidamente chi, come voi giovani, è chiamato a costruirsi il futuro deve avere una formidabile capacità d’adattamento e una forte attitudine imprenditoriale. Due qualità indispensabili per operare in un’economia sempre più fondata sulla conoscenza, diventata ormai la principale forza propulsiva. La modernizzazione degli anni a venire, infatti, non sarà solo questione di macchine e tecnologie, ma sarà, soprattutto, una rivoluzione culturale destinata ad incidere profondamente sulle persone e sulla comunità. Si tratta di una grande sfida che richiede, come forse mai in passato, un’adeguata formazione e preparazione personale. Nella grande trasformazione in atto, si prospetta in tutta la sua ampiezza la centralità dell’Uomo. Il patrimonio culturale delle persone, infatti, sarà sempre più indispensabile per produrre nuove idee e per usare in modo creativo la tecnologia delle macchine. La consapevolezza di ciò deve spingervi a eccellere nello studio, così come nell’attitudine a mettervi in gioco. Mi riferisco alla capacità di misurarsi con la vita, senza rifugiarsi negli alibi offerti generosamente dalla nostra società ai troppi che si arrendono ancor prima di combattere. Voi, al contrario, dovete alimentare giorno dopo giorno la vostra capacità di sognare. Costruite una vostra personalità fondata sull’impegno, sull’onestà e, soprattutto, sulla fiducia in voi stessi. Terminato il vostro ciclo di studi, impegnatevi a cercare il “vostro” lavoro e fatelo anche a costo di sacrifici temporanei, fino a quando non lo troverete. Sforzatevi sempre di guardare avanti. Henry Ford ripeteva: “Se avessi chiesto alle persone cosa volevano, mi avrebbero risposto: cavalli più veloci”. Ford offrì ciò che nessuno chiedeva: una solida automobile a un prezzo accessibile. Ascoltando ostinatamente se stesso e credendo in ciò che faceva, Henry Ford ha cambiato per sempre il mondo. Una grande lezione che sintetizzo in questo modo: non abbiate mai paura di sognare. Impegnatevi per elaborare idee personali, applicatevi per migliorarle e soprattutto per realizzarle. Chi vi dice queste cose – con il cuore – è un ragazzo di settant’anni che continua a pedalare con il suo carrettino per portare – questa volta in giro per il mondo – i suoi prodotti, realizzati grazie al contributo di tanti ingegneri usciti anche da questa Università. Giovani donne e giovani uomini ai quali non mi stanco mai di ripetere: provateci sempre, non arrendetevi mai!

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